Oratorio San Paolo

SAN GIUSEPPE, LA SUA STORIA NON È UN RACCONTO DEL PASSATO, MA UNA PROVOCAZIONE PER IL NOSTRO TEMPO

San Giuseppe Lavoratore

Il nome Giuseppe deriva dall’ebraico יוֹסֵף (Yosef), che significa “Dio aggiungerà” o “Dio accrescerà”.

Un nome che porta una promessa

Questo nome esprime fiducia nel futuro, perché indica che Dio non lascia mai l’uomo nella mancanza, ma aggiunge sempre qualcosa di più alla sua vita. Non solo beni materiali, ma soprattutto grazia, forza, speranza, nuove possibilità.

San Giuseppe ci ricorda che anche nelle fatiche della vita, Dio aggiunge sempre qualcosa: una nuova opportunità, una forza interiore, una speranza inattesa. È un nome che parla di crescita, di fiducia, di capacità di affrontare il futuro senza paura.

Questo è il messaggio che il Ne perdantur può raccogliere e rilanciare: non c’è situazione così difficile da non poter essere trasformata, perché Dio continua ad aggiungere speranza e nuove strade per chi sa affidarsi a Lui.

San Giuseppe incarna il modello del lavoratore, del padre e del custode della dignità umana. La sua figura, spesso presentata in modo discreto, è invece dirompente nella prospettiva della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC), che vede nel suo esempio un punto di riferimento per il mondo del lavoro, la famiglia e la responsabilità sociale. Riflettiamo su alcune direttrici fondamentali della sua testimonianza, rileggendole nel nostro contesto moderno.

San Giuseppe e la dignità del lavoro

San Giuseppe è il falegname, l’uomo del lavoro quotidiano che costruisce non solo con le mani, ma con il cuore e con la fede. Papa Francesco, nella Patris Corde, sottolinea come il lavoro di Giuseppe abbia permesso a Gesù di crescere e di comprendere la dignità della fatica. La DSC afferma che il lavoro è essenziale per la realizzazione della persona umana (Laborem Exercens, Giovanni Paolo II). Oggi, nel tempo del precariato, dell’automazione e dello sfruttamento del lavoro informale, Giuseppe ci interpella: il lavoro è ancora strumento di dignità o è diventato una merce che lascia indietro troppi “esiliati economici”?

San Giuseppe e la paternità responsabile

San Giuseppe non è solo padre biologico, ma soprattutto padre nell’accoglienza e nella responsabilità. La Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II sottolinea che la paternità non si limita all’aspetto generativo, ma si esprime nel prendersi cura, nel proteggere, nell’educare. Oggi, di fronte a crisi familiari, assenza di figure paterne e nuovi modelli di relazione, Giuseppe diventa un’icona della paternità che accoglie e protegge, che si assume il peso della responsabilità anche senza certezze materiali. È un uomo che non fugge dalla realtà, ma la affronta con fede e azione.

San Giuseppe e la giustizia sociale

San Giuseppe si trova nella condizione dell’emigrante, del rifugiato politico, costretto a fuggire per proteggere la sua famiglia. È l’emblema di quanti oggi cercano un rifugio da guerre, persecuzioni e miseria. La DSC ci invita a riconoscere il valore e i diritti dei migranti (Caritas in Veritate, Benedetto XVI). Se Giuseppe dovesse viaggiare oggi con Maria e Gesù, troverebbe muri e respingimenti? Il Vangelo ci provoca: siamo disposti ad accogliere i Giuseppe moderni?

San Giuseppe e la cultura del bene comune

Giuseppe non pensa a sé stesso, ma alla sua famiglia e alla comunità. Il bene comune, principio cardine della DSC, richiede che nessuno sia lasciato indietro. Oggi questo si traduce nella costruzione di un welfare giusto, che tuteli i lavoratori, le famiglie, gli ultimi. Giuseppe ci insegna che il vero leader è colui che serve, non chi domina. La politica e l’economia possono ancora ispirarsi a questa logica del servizio e non del profitto a ogni costo?

San Giuseppe è un uomo del presente: custode del lavoro dignitoso, difensore della famiglia, protettore degli ultimi, testimone della fede concreta. La sua storia non è un racconto del passato, ma una provocazione per il nostro tempo.

Il Ne perdantur del nostro impegno educativo trova in Giuseppe un punto fermo: nessuno deve essere abbandonato, né nel lavoro, né nella famiglia, né nella società. Il suo esempio ci spinge a costruire un mondo dove la giustizia sociale non sia un’utopia, ma un progetto concreto da realizzare ogni giorno.

San Giuseppe diventa così il simbolo di tutti coloro che si trovano di fronte a sfide più grandi di loro, senza strumenti adeguati per affrontarle. Non è un eroe nel senso classico del termine, ma una persona comune che, con fede e determinazione, sceglie di affrontare le difficoltà senza cercare scorciatoie o compromessi con l’ingiustizia.

Se guardiamo alla sua figura con gli occhi della Dottrina Sociale della Chiesa, possiamo riconoscere in lui il prototipo del lavoratore precario, dell’artigiano senza tutele, di chi affronta la fatica quotidiana senza garanzie. Nel contesto attuale, ha reso ancora più evidente questa realtà: milioni di lavoratori autonomi, come Giuseppe, si sono trovati improvvisamente senza reddito, senza protezione sociale adeguata, costretti a reinventarsi per non soccombere alla crisi economica.

La Dottrina Sociale della Chiesa, specialmente nei documenti più recenti come la Fratelli Tutti di Papa Francesco, sottolinea la necessità di ripensare un modello di sviluppo più giusto, capace di proteggere i più vulnerabili. Giuseppe ci insegna che la resilienza non è solo resistere, ma anche costruire nuove strade. Non si limita a subire il pericolo, ma prende iniziativa: fugge in Egitto per proteggere la sua famiglia, poi ritorna e si ricolloca nel suo lavoro a Nazaret. È un uomo che si adatta ai cambiamenti, senza mai perdere la dignità del suo ruolo di padre e lavoratore.

Oggi, chi sono i “Giuseppe” del nostro tempo? Sono i piccoli imprenditori che cercano di salvare la loro attività, i lavoratori a partita IVA che faticano a rientrare nel mercato, le famiglie che devono reinventarsi per affrontare un mondo trasformato dalla pandemia e dalla crisi economica. Giuseppe ci indica che la soluzione non sta nell’accumulare potere o nel cercare scorciatoie, ma nella fedeltà alla propria vocazione, nell’affrontare la realtà con coraggio e nell’affidarsi a una visione più grande di sé stessi.

In questo senso, il Ne perdantur diventa un appello forte: nessuno deve essere abbandonato nel momento della difficoltà. La comunità ha il dovere di farsi carico dei più deboli, come Giuseppe si è fatto carico di Maria e di Gesù. Il nostro impegno educativo e sociale deve tradursi in una rete di protezione, in politiche economiche che mettano la persona al centro, in un welfare che non sia elemosina, ma strumento di giustizia.

Giuseppe, dunque, è un uomo del nostro tempo: non è un privilegiato, non è un eroe solitario, ma un lavoratore, un padre, un uomo di fede che affronta la vita con responsabilità e fiducia. È l’esempio di un mondo del lavoro che ha bisogno di solidarietà e di speranza, oggi più che mai.

Le risorse di San Giuseppe sono quelle di un uomo giusto che, pur non avendo mezzi materiali o potere, affronta la realtà con una forza interiore straordinaria. E questa forza non è qualcosa di straordinario, irraggiungibile, ma è alla portata di tutti.

La dignità umile e incrollabile

San Giuseppe dimostra che la dignità non dipende dal successo o dal riconoscimento esterno, ma dall’essere fedeli a ciò che si è chiamati a fare. Egli non si abbandona alla disperazione, non si lascia sopraffare dall’ingiustizia di Erode.

Fugge, ma non come un vinto: la sua non è la fuga del debole, ma la scelta del giusto che non cede al male. Questa è una lezione potentissima per il nostro tempo, in cui la dignità è spesso minacciata dalla precarietà lavorativa, dalla perdita del senso della comunità, dall’illusione che il valore della persona sia legato alla sua produttività o alla sua forza economica.

Oggi, di fronte a crisi economiche, guerre, quanti sono tentati di arrendersi o di cercare vie facili e scorciatoie? Giuseppe ci insegna invece che la dignità sta nel non cedere allo scoraggiamento, nel mantenere uno sguardo lucido sulla realtà e nel fare ciò che è giusto, anche quando è difficile. Egli accetta la fragilità della sua condizione, ma non si lascia paralizzare dalla paura. E questa è la grandezza della sua umiltà: non si pone come un eroe invincibile, ma come un uomo che sa di dover affidarsi a qualcosa di più grande di sé stesso.

Il silenzio operoso e il discernimento

Giuseppe non parla molto nei Vangeli, ma agisce. È il custode silenzioso, colui che riflette, che ascolta, che sa distinguere ciò che conta davvero. La sua risorsa più preziosa è la capacità di leggere la realtà senza lasciarsi travolgere dalle emozioni o dalle reazioni istintive. La Dottrina Sociale della Chiesa ci invita spesso a questa capacità di discernimento: di fronte alle ingiustizie sociali, alle difficoltà economiche, ai drammi dei migranti e degli ultimi, non servono risposte impulsive o polemiche sterili, ma azioni concrete.

San Giuseppe è l’uomo della decisione: quando comprende che la sua famiglia è in pericolo, non perde tempo a lamentarsi, a cercare colpevoli o a rimuginare sulle ingiustizie. Agisce, con prudenza e determinazione. Questa è una lezione fondamentale per chi oggi si trova schiacciato da difficoltà che sembrano insormontabili: il primo passo per superarle è non restare immobili, ma muoversi con saggezza e coraggio.

Un modello per il nostro tempo

Se applichiamo queste due risorse di Giuseppe – DIGNITÀ E DISCERNIMENTO – al nostro contesto attuale, vediamo che esse sono le stesse di cui abbiamo bisogno per affrontare le grandi crisi della nostra epoca. Il lavoratore precario, il migrante in cerca di un futuro, la famiglia in difficoltà economica: tutti possono trovare in Giuseppe un riferimento, perché egli non è un superuomo, ma un uomo come tanti, che ha saputo affrontare l’incertezza con fede e determinazione.

Giuseppe ci insegna che il vero fallimento non sta nel perdere sicurezze materiali, ma nel perdere la propria dignità e il coraggio di agire nel bene. La sua figura, riletta nella prospettiva del Ne perdantur, è un richiamo forte a non lasciare indietro nessuno: la comunità cristiana e la società tutta hanno il dovere di proteggere la dignità di chi lotta contro difficoltà più grandi di lui. È questa la vera eredità di Giuseppe: una speranza concreta, fatta di scelte quotidiane, di azioni silenziose ma determinanti, di una dignità che nessuna avversità può spezzare.

San Giuseppe ci insegna che il lavoro non è solo un mezzo per procurarsi il necessario per vivere, ma è anche espressione della dignità e della vocazione di ogni persona. Il suo lavoro da carpentiere, umile ma essenziale, diventa la seconda grande risorsa che gli permette di affrontare le difficoltà, di ricominciare da capo in un paese straniero e di garantire un futuro alla sua famiglia.

Il lavoro come dignità e stabilità

Nella Dottrina Sociale della Chiesa, il lavoro è considerato molto più di una semplice attività economica: è un diritto fondamentale e un elemento costitutivo della dignità della persona (Laborem Exercens, Giovanni Paolo II). San Giuseppe incarna questa verità: non è un uomo ricco, non ha titoli o privilegi, ma ha un mestiere, e questo è sufficiente per garantirgli una forma di sicurezza anche in una situazione di incertezza assoluta.

Oggi, in un mondo segnato dalla precarietà lavorativa, dal lavoro informale e dallo sfruttamento, l’esempio di Giuseppe è un forte richiamo alla necessità di un’economia che metta al centro la dignità del lavoratore. Il lavoro non può essere ridotto a una merce, a un contratto a scadenza che lascia l’uomo nell’insicurezza permanente. Giuseppe ci insegna che ogni lavoro, anche il più umile, ha valore se fatto con onestà e competenza.

Il coraggio di ricominciare

San Giuseppe non solo accetta di lavorare con le proprie mani, ma ha anche la capacità di ricominciare da zero. In Egitto non ha reti di supporto, non ha privilegi, eppure il suo mestiere gli permette di inserirsi in una nuova realtà e di costruire una vita dignitosa per sé e per la sua famiglia. Questo lo rende un simbolo potente di tutti coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra e a reinventarsi altrove: migranti, rifugiati, lavoratori che si trovano a dover cambiare settore o mestiere per sopravvivere.

Nella Fratelli Tutti, Papa Francesco ricorda che nessuno dovrebbe essere privato della possibilità di guadagnarsi il pane con il proprio lavoro. Giuseppe diventa così il patrono di tutti coloro che affrontano la fatica del ricominciare, di chi cerca un’occupazione dignitosa, di chi si rifiuta di lasciarsi abbattere dalle difficoltà e con determinazione continua a lottare per la propria famiglia.

Il lavoro come servizio e vocazione

Il mestiere di Giuseppe non è solo un mezzo di sostentamento, ma anche un servizio alla comunità. In Egitto, come a Nazaret, il carpentiere è una figura essenziale: costruisce, ripara, contribuisce al bene degli altri. Il suo lavoro è un esempio concreto di come l’attività umana possa essere un’opera di giustizia sociale: non è sfruttamento, non è accumulo di ricchezze per sé, ma è un contributo al bene comune.

Oggi, questo aspetto è più attuale che mai: in un mondo dove il lavoro rischia di diventare alienante e privo di significato, l’esempio di Giuseppe ci richiama alla bellezza del lavoro ben fatto, del lavoro come vocazione, del lavoro come partecipazione alla creazione.

Un modello per il nostro tempo

San Giuseppe, con la sua perizia e il suo impegno, ci ricorda che la dignità del lavoro non dipende dalla sua visibilità o dal guadagno che ne deriva, ma dalla passione e dalla dedizione con cui viene svolto. Il Ne perdantur educativo trova qui una chiave importante: nessuno deve essere privato della possibilità di lavorare con dignità, nessun giovane deve essere lasciato senza un futuro professionale, nessun lavoratore deve essere considerato un numero sacrificabile sull’altare del profitto.

Giuseppe ci insegna che il lavoro è fatica, ma anche speranza. È il mezzo con cui un padre protegge la sua famiglia, con cui un uomo contribuisce alla società, con cui ciascuno può trovare il proprio posto nel mondo. È la sua seconda grande risorsa, ma anche la nostra più grande sfida: garantire che ogni persona possa lavorare con dignità, in ogni tempo e in ogni luogo.

San Giuseppe ci insegna che anche le situazioni più difficili possono trasformarsi in nuovi inizi, se affrontate con dignità, impegno e fiducia. La fuga in Egitto, che potrebbe sembrare un fallimento, è in realtà una ripartenza: non un ripiegamento su sé stessi, ma una risposta concreta a una realtà avversa. Questo lo rende un modello per tutti coloro che devono affrontare momenti di crisi, siano essi economiche, sociali o personali.

San Giuseppe, modello di resilienza

Nel nostro tempo, segnato da precarietà e cambiamenti improvvisi, il suo esempio ci ricorda che la vera forza non è quella di chi non cade mai, ma di chi sa rialzarsi e ripartire. Giuseppe non si lascia schiacciare dalla paura o dal senso di impotenza. Egli accoglie la sfida e, con il solo aiuto del suo mestiere e della sua fede, costruisce un futuro per sé e per la sua famiglia.

Questo lo rende un patrono perfetto per i lavoratori, specialmente per quelli che, come lui, devono ricominciare dopo una crisi: chi perde il lavoro, chi emigra in cerca di un’opportunità, chi affronta difficoltà economiche. La Dottrina Sociale della Chiesa ricorda che il lavoro è un diritto fondamentale, ma anche un dovere di giustizia. Giuseppe ci mostra come affrontare il lavoro non solo come necessità, ma come vocazione, come contributo al bene comune.

San Giuseppe, il padre che comprende e sostiene

Non è un caso che la sua festa coincida con quella dei papà: Giuseppe è il padre per eccellenza, colui che si prende cura, protegge e lavora per la crescita dei suoi figli. Conosce le preoccupazioni di ogni padre che fatica per mantenere la famiglia, che vive nell’incertezza del domani, che prova il peso delle responsabilità sulle spalle.

Giuseppe sa anche cosa significhi affrontare momenti di sconfitta. Ci piace immaginarlo come un uomo forte, ma anche capace di versare qualche lacrima in silenzio, come tanti padri che soffrono per le difficoltà della vita. È il patrono di chi, nonostante tutto, non si arrende, di chi lotta con il cuore per il bene degli altri.

Il Ne perdantur come impegno sociale e educativo

Nella prospettiva del Ne perdantur, Giuseppe diventa un simbolo per il nostro impegno educativo e sociale: non possiamo lasciare indietro chi è costretto a ricominciare, chi lotta per dare dignità alla propria famiglia, chi si trova nel buio dell’incertezza. Il suo esempio ci chiama a costruire un mondo del lavoro più giusto, un welfare che sostenga le famiglie, un’educazione che formi giovani capaci di affrontare le sfide con determinazione e speranza.

Un santo attuale per il nostro tempo

San Giuseppe non è una figura lontana, ma incredibilmente moderna: parla ai lavoratori, ai padri, ai migranti, a tutti coloro che lottano per una vita dignitosa. Il suo giorno di festa non è solo un omaggio alla tradizione, ma un’occasione per riflettere su un modello di paternità e di lavoro che ha ancora tanto da insegnarci.

Festeggiarlo significa riconoscere il valore di chi, ogni giorno, con sacrificio e amore, costruisce il futuro per sé e per gli altri.

San Giuseppe ci invita ad alzare lo sguardo. Non solo a sopportare la fatica quotidiana, ma a darle un senso più profondo, capace di trasformare ogni sforzo in un’opportunità di incontro con Dio e con gli altri.

Uno sguardo che incontra l’altro

Nel vortice delle difficoltà della vita, spesso rischiamo di abbassare lo sguardo, di concentrarci solo sul peso del lavoro, sulle preoccupazioni materiali, sugli ostacoli quotidiani. Ma Giuseppe ci ricorda di alzare lo sguardo per incontrare chi amiamo: la famiglia, i compagni di cammino, la comunità. Il suo amore per Maria e per Gesù è l’energia che lo spinge ad andare avanti. Quanti oggi, nel mondo del lavoro e della società, hanno bisogno di riscoprire questa dimensione relazionale, umana, che dia senso alla fatica?

Lui, uomo concreto e silenzioso, ci insegna che la vera speranza nasce nei legami autentici. Non è l’accumulo di beni né il successo a dare valore alla vita, ma l’amore con cui affrontiamo le nostre giornate. E questo è un richiamo fortissimo per la nostra epoca, segnata dalla solitudine, dallo stress, da una cultura dell’efficienza che spesso disumanizza il lavoro.

Un invito per questi tempi difficili

In questo tempo di incertezze, siamo chiamati a fare come lui: a non lasciarci abbattere, a non chiuderci nella rassegnazione, ma ad alzare lo sguardo e a riconoscere che non siamo soli. Dio aggiunge sempre qualcosa, anche nelle situazioni più buie: nuove opportunità, nuovi incontri, nuove speranze. E noi siamo chiamati a esserne strumenti, a costruire un mondo dove nessuno venga lasciato indietro, dove il lavoro sia dignitoso, dove la famiglia e la comunità siano luoghi di sostegno e crescita.

San Giuseppe, modello per oggi

Festeggiare San Giuseppe non è solo un atto di devozione, ma un impegno concreto. Significa scegliere di guardare la realtà con speranza, di lavorare con giustizia, di vivere i legami con amore. Il Ne perdantur si radica qui: nessuno deve perdersi nell’indifferenza, nel precariato, nella solitudine. Ogni lavoratore, ogni padre, ogni giovane ha diritto a un futuro in cui Dio aggiunga sempre qualcosa di più grande.

Oggi, come allora, Giuseppe ci insegna che la vita non si misura solo con il metro della fatica, ma con quello dell’amore e della fede. Il suo esempio ci spinge ad alzare lo sguardo, ad affidarci a Dio e a prenderci cura gli uni degli altri, costruendo un domani più umano e più giusto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il metodo di San Giuseppe

 

San Giuseppe, con il suo stile di vita e le sue scelte, ci offre un metodo chiaro e concreto per affrontare le sfide della vita. Non un metodo teorico o astratto, ma profondamente radicato nella realtà quotidiana, fatto di atteggiamenti e azioni che possono guidarci nelle difficoltà, nelle responsabilità e nelle scelte educative e sociali. Possiamo riassumerlo in cinque passaggi fondamentali, che emergono dalla sua esperienza e che trovano un forte legame con la Patris Corde di Papa Francesco.

 

ASCOLTARE: il discernimento nel silenzio

San Giuseppe non parla nei Vangeli, ma ascolta. Ascolta Dio nei sogni, ascolta la realtà intorno a lui, ascolta il bisogno della sua famiglia. Il primo passo del suo metodo è il discernimento nel silenzio, che non significa passività, ma capacità di cogliere la verità delle situazioni prima di agire.

Cosa ci insegna oggi?
Viviamo in un mondo frenetico, dove spesso si reagisce d’impulso, senza fermarsi a comprendere davvero ciò che sta accadendo. Giuseppe ci insegna a non avere paura del silenzio, perché è lì che maturano le decisioni giuste. Nel campo educativo e sociale, questo significa imparare ad ascoltare davvero i giovani, i lavoratori, le famiglie, per rispondere ai loro bisogni reali, non solo con soluzioni tecniche, ma con scelte che abbiano un’anima.

 

  1. DECIDERE: la responsabilità dell’azione

Dopo aver ascoltato, Giuseppe decide. Non rimanda, non si lascia paralizzare dai dubbi. Quando l’angelo gli dice di prendere con sé Maria, lo fa. Quando gli viene chiesto di fuggire in Egitto, parte senza esitazioni. Le sue scelte sono rapide, ma non impulsive: sono frutto di un cuore saldo e di una mente libera dalla paura.

Cosa ci insegna oggi?
In un’epoca di incertezze e di crisi, è facile restare immobili, aspettare che altri decidano per noi. Giuseppe ci insegna che la responsabilità personale è la chiave per il cambiamento. Nell’educazione, nel lavoro, nella vita sociale, questo significa assumersi il compito di costruire risposte concrete, senza attendere che siano sempre altri a farlo.

 

  1. LAVORARE: la dignità dell’impegno quotidiano

Il metodo di Giuseppe è fatto di mani che lavorano. Lui non cerca scorciatoie, non si affida a privilegi o favoritismi. Il suo mestiere è la sua sicurezza, il suo modo di prendersi cura della famiglia, di inserirsi nella società, di servire gli altri.

Cosa ci insegna oggi?
Il valore del lavoro oggi è minacciato da precariato, sfruttamento, perdita del senso della fatica. Giuseppe ci insegna che il lavoro, qualunque esso sia, è via di dignità e di costruzione del futuro. Questo vale per ogni lavoratore, ma anche per chi si occupa di formazione: educare al lavoro significa educare a vivere con responsabilità e speranza.

 

  1. CUSTODIRE: la cura delle persone e delle relazioni

Giuseppe è il grande custode: di Gesù, di Maria, della famiglia, della comunità. Il suo metodo non è individualista, ma relazionale: non pensa solo a sé stesso, ma si prende cura degli altri, senza protagonismi.

Cosa ci insegna oggi?
Nella società attuale, dominata dall’individualismo, dalla competizione e dall’indifferenza, Giuseppe ci invita a riscoprire la dimensione della cura. Il metodo educativo e sociale che possiamo trarre da lui è un metodo di accompagnamento, di vicinanza, di tutela dei più fragili. Nel Ne perdantur, questo significa non lasciare indietro nessuno, soprattutto chi è più in difficoltà nel mondo del lavoro, nella scuola, nella vita familiare.

 

  1. SPERARE: alzare lo sguardo e affidarsi a Dio

Infine, il metodo di Giuseppe è fondato su una speranza concreta. Lui non è un uomo che sogna a occhi chiusi, ma che crede nel futuro e lo costruisce con fiducia. Il suo nome significa Dio aggiungerà, e lui vive con questa certezza: la vita non si esaurisce nella fatica, ma Dio è sempre all’opera.

Cosa ci insegna oggi?
In un tempo segnato da crisi e paura, Giuseppe ci chiede di alzare lo sguardo, di non lasciarci schiacciare dalla logica del fallimento. Sperare non è un’illusione, ma la forza che permette di continuare a lavorare, a educare, a costruire, anche quando tutto sembra difficile. Nel nostro impegno formativo e sociale, significa dare ai giovani e ai lavoratori non solo strumenti tecnici, ma anche motivazioni profonde, visioni che vadano oltre il presente, prospettive di futuro.

 

Il metodo di Giuseppe per il nostro tempo

San Giuseppe ci consegna un metodo chiaro, fatto di ascolto, decisione, lavoro, cura e speranza. È un modello educativo, formativo e sociale di straordinaria attualità. Per chi opera nel mondo del lavoro, della formazione professionale, dell’educazione, il suo esempio è un richiamo forte a non lasciare indietro nessuno, a costruire una società più giusta, a formare persone che sappiano affrontare la vita con coraggio e dignità.

Possiamo chiamarlo il “Metodo di Giuseppe”, un metodo che non offre soluzioni facili, ma indica un percorso concreto per chi vuole affrontare le difficoltà con giustizia, fede e amore.

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